La minoranza Rohingya, prevalentemente musulmana (ma non esclusivamente), non è riconosciuta da alcun paese e ha subito una lunga storia di discriminazione e violenza in Myanmar, dove è considerata un gruppo etnico non riconosciuto.
Vivere come Rohingya in Birmania è estremamente difficile: serve un permesso speciale per varie attività quotidiane, ci sono limiti sul numero di figli e si vivono sfruttamento lavorativo, arresti ingiustificati, tasse ingiuste e violenze. Inoltre, i giovani non hanno accesso garantito all'istruzione.
L'ultimo censimento ufficiale sui Rohingya risale al 2014, quando si stimava che la popolazione Rohingya in Myanmar fosse di circa 1,1 milioni. Tuttavia, a causa della crisi umanitaria e dell'esodo forzato che ha avuto luogo nel 2017, la situazione è cambiata drasticamente.
Attualmente, secondo stime recenti:
Oltre 730.000 Rohingya si trovano nei campi profughi nel Bangladesh, principalmente nelle aree di Ukhia e Teknaf.
Tra 200.000 e 240.000 Rohingya senza cittadinanza sono rimasti nelle aree settentrionali dello stato di Rakhine (circa 37.000 km²) ****in Myanmar.
Le violenze contro i Rohingya sono iniziate nel 2017, quando le forze di sicurezza birmane hanno lanciato un'operazione militare in risposta a attacchi da parte di gruppi armati Rohingya. Si stima che durante le violenze del 2017, circa 10.000 Rohingya siano stati uccisi. L'ONU ha ufficialmente definito la condizione di genocidio e pulizia etnica per i Rohingya in un rapporto pubblicato il 27 agosto 2018. Questo rapporto ha riconosciuto le violenze e le persecuzioni subite dalla minoranza Rohingya in Myanmar come genocidio, una delle accuse più gravi che l'ONU possa rivolgere a un paese. Il rapporto dell'ONU ha documentato crimini gravi, tra cui omicidi, stupri e incendi dolosi, che hanno portato a una crisi umanitaria senza precedenti.