Nel 1968, Paulo Freire completò La pedagogia degli oppressi, un'opera pedagogica sempre di grande attualità. Il messaggio centrale di Freire, espresso in modo chiaro verso la fine del suo lavoro, sottolinea l'importanza della fiducia e dell'amore. La fiducia è vista come l'elemento fondamentale della sua pedagogia, necessaria per promuovere un cambiamento reale nella relazione tra educatore ed educando. Freire distingue due tipi di educazione: quella "depositaria", in cui l'educatore trasmette passivamente conoscenze, e quella "problematizzante", caratterizzata da un dialogo critico e da un apprendimento reciproco.
L'amore, secondo Freire, è essenziale per il dialogo e diventa il motore di ogni rivoluzione autentica. Pur essendo consapevole delle critiche riguardo al suo approccio romantico, egli sostiene la necessità di riappropriarsi dell'amore come forza propulsiva per l'umanità. Sebbene il concetto di "rivoluzione" possa sembrare meno rilevante oggi, all'epoca era fortemente influenzato dagli eventi storici, come la Rivoluzione cubana. Freire riconosce anche le influenze comuniste e marxiste nella sua filosofia, enfatizzando che liberare gli oppressi richiede una consapevolezza critica della loro realtà, piuttosto che un'imposizione di valori esterni. La sua proposta si concentra sull'educazione, frutto di anni di esperienza pratica, ma potrebbe deludere i lettori moderni per la mancanza di una teoria sistematica dell'educazione rivoluzionaria. Ogni rivoluzione pedagogica deve tenere conto del contesto storico e culturale specifico. Freire avverte che gli oppressi possono temere la libertà, poiché implica un processo di autoconoscenza e riflessione. Questa oppressione può portare a un ciclo in cui gli oppressi diventano oppressori. L'“uomo nuovo” deve prendere coscienza della sua condizione e sfidare il potere che risiede anche in lui.
Freire critica l'educazione tradizionale, definita "educazione bancaria", che opprime gli studenti impedendo loro di sviluppare un pensiero critico. Propone invece un'educazione dialógica, incentrata sul dialogo e sulla partecipazione attiva degli apprendisti. Pubblicato nel 1968, durante il regime dittatoriale brasiliano, è divenuto un pilastro della pedagogia critica. Il libro è strutturato in quattro capitoli che trattano la necessità di una pedagogia per gli oppressi, la critica all'educazione bancaria, l'importanza del dialogo e la teoria dell'azione antidialógica. Freire sottolinea che la libertà si raggiunge attraverso l'educazione e la consapevolezza del contesto sociale in cui si vive. Nel successivo "Pedagogia da Esperança" del 1992, Freire rielabora alcuni concetti del suo lavoro precedente e affronta le critiche ricevute.
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